La crisi è infinita: senza Dado, è una Monfalcone che non sa di niente


Trattoria Al Dado

Trattoria Al Dado

La miseria culturale di Monfalcone attanaglia come una peste bubbonica la cittadinanza, privata di argomenti su cui dibattere e luoghi dove socializzare. La lista dei mondi finiti è lunga, inizia dal Buzz e finisce, per ora, con il bar sulla spiaggia di Marina Nova. In mezzo c’è la trattoria Al Dado di via Monti, punto di riferimento intergenerazionale e malauguratamente chiusa dalla scorsa primavera.

Ficcata al confine tra Monfalcone e Staranzano alla confluenza con la rigogliosa Stradella Verde in un posto sconto e illuminato bene, era ideale per chi voleva tranquillità, pace e zero traffico a disturbare le proprie speculazioni mentali. Il Dado raggiungeva l’acme in estate: sotto il pergolato di gelsomini, glicini e sambuca i lunghi tavoli in tela cerata favorivano l’incontro tra persone di diversa estrazione. A farla da padrona era quella che una volta si chiamava la classe lavoratrice: gruppi di omenatti in tarlis con chiavi inglesi, cacciaviti e martelli nelle tasche si piazzavano all’ombra per rilassarsi con 2 litri di birra o un caffè stracorretto Fernet alle 6,30 del mattino, prima di iniziare la litania delle 8 ore in fabbrica. Muratori, operai, maniscalchi, elettricisti, meccanici, postini e falegnami di tutte le razze: bisiachi, meridionali, isolani, indiani e addirittura furlani in trasferta popolavano il locale per scambiarsi idee sulle vicende politiche.

Trattoria Al Dado

Trattoria Al Dado

Oltre alla working class, il Dado attraeva ragazzini in lippa, universitari fuori sede, perdigiorno fuori corso, jokerz di paese e gente incravattata, come agenti di commercio, immobiliaristi, broker, palazzinari, manager della comunicazione integrata, avvocati e persino qualche intellettuale che veniva a rifarsi una verginità mescolandosi nei luoghi del popolo.

La trattoria è stata gestita per anni dalla signora Aurora, ora purtroppo scomparsa. Aurora tirava fuori spettacolari panini col kren, crudeghini, sbrovada, ovi duri, melanzane fritte, piattoni di calamari, sardele in savor, stuzzichini di formaggio e prosciutto e roboanti brocche di nero e bianco.

Trattoria Al Dado

Trattoria Al Dado

Si stava bene all’ombra del Dado: nel silenzio assoluto la brezza del Golfo girava da sola le pagine della Gazzetta e mentre i vecchi cantierini appoggiati al bancone raccontavano storie di partigiani e lotte del sindacato, i giovani ascoltavano e prendevano appunti, sperando di arrivare in forma alla pensione per affrontare feroci partite a carte con un quarto di nero e la coscienza a posto.

Bagatelle dal Carnevale monfalconese, con musi come maschere e crolli notturni in bar Buzz


Il Bar Buzz di via ) giugn a Monfalcone, Gorizia

Il Bar Buzz a Monfalcone

A Monfalcone il Carnevale è l’unico momento di felicità del pueblo: tutti invadono la città per la sfilata e la Cantada, tutti fanno bagordi, criticano il sindaco e mettono in crisi il Sistema. Per noi monfalconesi il Carnevale è l’unico momento liberatorio: tutti si vestono da donna, da orso o da clown rivelando l’inclinazione che durante l’anno tengono nascosta. E’ una catarsi collettiva: mentre i potenti fanno finta di stare al gioco per beccarsi qualche voto alle prossime elezioni, gli oppressi castrati dalla moglie o dal capo si sentono vivi e vanno a caccia di avventure. Noi monfalconesi siamo fatti così: quando ci danno il permesso scritto di combinare quello che vogliamo e di vestirci come desideriamo, allora ci scateniamo in squilli di rivolta che finiscono a volte in sonore ubriacature e crolli improvvisi.

Uno che non si è mai risparmiato è N. E’ un quarantacinquenne ex promettente calciatore delle serie minori: un anno girò vestito da donna per tutto il periodo di Carnevale. Si svegliava, si vestiva con veletta, trucco, minigonna, parrucca e reggicalze, entrava in fabbrica, si metteva la tuta, faceva le sue otto ore, poi si cambiava, si rivestiva da donna e andava all’allenamento. In spogliatoio si metteva “tretter” e calzoncini e giocava alla grande poi la sera gironzolava nei bar in cerca di bicchieroni, respingendo le avances di qualche ingrifato. In una delle sue serate più balorde finì in Bar Buzz.

Bar Buzz, Monfalcone, listino prezzi.

Bar Buzz, listino prezzi

Gonfio come una rana, con un muso da maschera di cartapesta e con gli occhi fuori dalle orbite, N. entrò in Buzz scaraventandosi contro la porta e cascando subito nella penombra leopardata. Erano le 3 di notte e non c’era quasi nessuno, la padrona dietro il bancone lo squadrò e maledisse di non aver chiuso la porta col lucchetto. N. portava sulla zucca una vistosa bandana verde della Lega, segnale delle sue ferree convinzioni politiche. Da storica militante della Sinistra extraparlamentare la padrona meditava vendetta.

N. era appollaiato al tavolino vicino al cesso e la sua testa ciondolava trafitta dalle birre tracannate per tutta la sera: voleva agganciare Samantha, l’avvenente cameriera di plastica issata all’angolino, ma non riusciva a parlare. Allora si addormentò scivolando lungo la panca, sotto la galleria di ritratti di Allende, Padre Pio, la Madonna di Lourdes e Josip Broz.

Bar Buzz, Monfalcone

Bar Buzz, avventori notturni

Alle 4 fu scosso dal veemente richiamo della padrona: la donna se ne andava a casa e doveva sbatter fuori l’uomo che non aveva ordinato nemmeno una birra e aveva spaventato col suo ghigno alcolemico gli ultimi avventori notturni.

N. si alzò di scatto, perse la bandana leghista e farfugliò alla vecchia. “Liz, quanto ti devo?“. Lei si illuminò. “7 birre. Totale: 14 euro“-rispose.  Senza dir nulla, N. pagò e uscì nella notte senza speranza mentre la padrona sghignazzando raccoglieva il vessillo verde e lo faceva lentamente scivolare nella toilette delle signore.